Autore: Roberto Bernocchi
Siamo nel sud degli Stati Uniti, pochi anni prima dell’inizio
della guerra civile. Un bizzarro cowboy tedesco, il Dr. Schultz (il
cattivissimo Christoph Waltz di Bastardi senza gloria) gira attraverso la
violenta America schiavista a caccia di fuorilegge, per assicurarsi le taglie
sulle loro teste. Per riconoscere i temibili fratelli Brittle ingaggia Django
(Jamie Foxx), uno schiavo da lui liberato, con cui avvia una proficua
collaborazione: Django lo avrebbe aiutato a catturare fuorilegge e in cambio
Schultz lo avrebbe aiutato a liberare la moglie Broomhilde, anch’essa schiava
al servizio del temibile Calvin Candy (DiCaprio).
3 ore che volano. Un western non western, spettacolo
spettacolare, violento, sadico, crudele, surreale, spiritoso, giocoso,
adolescenziale, splatter, nostalgico, romantico, spiazzante, classico,
dissacrante, epico, colorato, virtuoso, pop e, come spesso accade, memorabile.
Le aspettative erano altissime per l’incontro di Tarantino con lo spaghetti
western italiano, un altro genere per lui sacro, tutto da rivisitare e
rivalutare con il suo tocco inconfondibile. Il risultato non è un capolavoro,
ma un’innegabile “tarantinata”, con tutto quanto ad esso abitualmente connesso.
Dialoghi degni di nota, in gran parte in bocca al raffinato Christoph Waltz
(doppiato con un accento un po’ fastidioso, simile al veneto, ma certamente
buffo). Attori energizzati: Jamie Foxx, schiavo sofferente ed eroe nero tenero
e spietato; Leo DiCaprio, gonfio schiavista e affarista sempre sopra le righe;
Samuel L. Jackson nero maggiordomo zoppo vile e traditore. In mezzo a un coro
di personaggi da western classico (e non) che impreziosiscono le scene e
animano la curiosità e l’attenzione dello spettatore. Omaggi all’Italia e alla
sua tradizione western (con cameo di Franco Nero, il primo Django, l’originale
di Corbucci), alla Francia (con il personaggio di DiCaprio che unisce gusti ed
eleganza francesi allo spettacolo violento della lotta tra mandingo) e alla
Germania (tedesca è la lingua madre del Dr. Shultz, la seconda lingua della
schiava Broomhilde e la mitologia a cui rimandano i personaggi). Un viaggio musicale
gustoso in una colonna sonora da “acquistare”, tra l’originale Django (Luis
Bacalov e Rocky Roberts), brani di Morricone dal sound tipicamente western con
intermezzi rap e la chiusura sulle note di “Lo chiamavano trinità” che strappa
un applauso al pubblico che esce dalla sala con un misto di euforia e
nostalgica eccitazione.
Probabilmente un film pasticcio per i critici
sopraffini ma non esiste regista al mondo capace di trasmettere allo spettatore
un amore così smisurato per il cinema, fatto di immagini, forme, mirabili
movimenti di macchine e passione. I contenuti sono un sottofondo, ma con
Tarantino il biglietto lo si paga per divertirsi e non per pensare.
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